Un passo avanti per le intitolazioni dei nostri plessi senza nome

I nostri plessi senza nome avranno una loro intitolazione, ognuna nel segno dell'impegno sociale ed educativo.

Personale scolastico

Docente

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Dopo le proposte partite dal Collegio dei docenti per giungere alla delibera della Giunta con esito favorevole, è stato fatto un passo avanti per le intitolazioni dei plessi senza nome nel nostro istituto dedicate a persone di altissimo valore sociale ed educativo. 

Le nuove intitolazioni:

  • scuola dell’infanzia Via Bachelet a G. Vico
  • scuola dell’infanzia Via Polonia a S. G. Bosco
  • scuola dell’infanzia Via Bucarest a Danilo Dolci
  • scuola dell’infanzia Via Aniene a Clementina Caligaris
  • scuola primaria e secondaria di I grado Via Po a Mercedes Mellacina Vallin.  

Danilo Dolci, è stato un sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza italiana. Quello che è davvero rivoluzionario in Dolci è il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verità preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. È convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni svolte, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. L’impegno educativo di Dolci  assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all’effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialità. Col contributo di esperti internazionali si avvia l’esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre più intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre società connessi al procedere della massificazione, all’emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della “scienza della complessita’” e alle nuove scoperte in campo biologico, propone “all’educatore che è in ognuno al mondo” una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul “reciproco adattamento creativo”.  Se c’è una metafora che può caratterizzare l’esperienza pedagogica di Danilo Dolci è senz’altro la metafora della domanda. Possiamo definire Dolci come l’educatore della domanda, ossia l’educatore che innesta tutta la sua azione formativa sul chiedere, sull’esplorare, sul creare, sull’interrogazione, ovviamente non in senso scolastico, ma nel senso dello scavo, dell’andare oltre l’apparente, cercando di scoprire il “non-noto”, ciò che è velato dalle tradizioni, dalla consuetudine, dagli stereotipi. In questo sta il richiamo al metodo maieutico, per cui Danilo Dolci è famoso, il metodo del tirar fuori, del porre gli educati, i soggetti in crescita nella condizione di allargare la propria sfera di apprendimento a partire dalla capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande.

Clementina Caligaris, è stata una tra le tredici donne che il 25 settembre del 1945 per la prima volta in Italia entraa far parte di un’istituzione politica, si tratta della Consulta nazionale per la Costituente, un parlamento transitorio nominato dai partiti del CLN in attesa delle prime elezioni politiche dopo la caduta del regime fascista. Sono passati otto mesi da quando il presidente del consiglio dei ministri Ivanoe Bonomi ha emanato il decreto che sancisce il diritto di voto per le donne italiane, mentre il Nord del Paese era ancora occupato dalle forze nazifasciste. Le consultrici, le prime donne  tra cui Clementina Caligaris a varcare la soglia di Palazzo Montecitorio come rappresentanti politiche, sono circondate da un clima di grande curiosità. Nella piccola pattuglia femminile i cronisti notano una figura diversa dalle altre, unica a mantenere un tono rigidamente austero negli atteggiamenti e nel vestire. «Nel settore occupato dai socialisti sedeva una donna anziana, secca e piccola, vestita di nero, calze nere e cappello nero». Si tratta di Clementina Caligaris, la più anziana tra le consultrici, maestra di origini vercellesi, ha insegnato per diciotto anni a Sezze romano (Latina) prima che il fascismo, alla vigilia della marcia su Roma, la cacciasse insieme alla sua famiglia costringendola a rifugiarsi a Velletri. «Soltanto la Caligaris mantiene alle apparenze e ostenta anche verbalmente un certo disprezzo per l’Assemblea che, secondo lei, bizantineggia mentre fuori Montecitorio problemi vitali assillano la vita del paese». Nei tratti duri è scritto il suo carattere ma anche la vicenda di una militanza femminile iniziata all’alba del ‘900 non nei salotti borghesi o nelle aule universitarie, ma nelle campagne più povere del Lazio meridionale, accanto ai braccianti, alle loro mogli e ai loro figli, per lo più analfabeti, abitanti in capanne e tuguri. Una lunga militanza politica, poco conosciuta al tempo, completamente dimenticata in seguito, eppure il PSI di Pietro Nenni, tra i principali partiti di massa, scelse lei per iniziare a dare rappresentanza e voce alle donne italiane. Un raro profilo di militanza politica femminile capace di attraversare l’Italia liberale, fascista e repubblicana.

Mercedes Mellacina in Vallin, maestra vincitrice di concorso, poi laureata in lettere, vissuta a Sabaudia e poi nel capoluogo pontino con il marito conosciuto in Veneto, è stata una storica insegnante elementare, direttrice scolastica e infine ispettrice che credeva nella forza dell’insegnamento, non solo per la conquista dell’istruzione, ma anche come mezzo per imparare a vivere con gli altri nel rispetto delle differenze. Era convinta che solo l’educazione, offerta con serietà, ma anche con amore, sarebbe riuscita a restituire ad un popolo decimato dalla violenza, la volontà di ricostruire una nazione che sembrava sfiduciata. Fu testimone fino agli ultimi anni della sua lunga vita anche del ruolo avuto dalle donne nei difficili processi di ricostruzione nel dopoguerra.  E’ stata direttrice di diversi circoli didattici a Cisterna, a Cori, a Sezze e infine a Latina che comprendeva tutte le scuole della città e dei borghi.
Alla fine degli anni 60, aveva accettato con entusiasmo la presidenza del CIF, il Centro Italiano Femminile, una delle pochissime organizzazioni patrocinate dal Ministero degli Interni che guidò avendo come obiettivo il miglioramento dell’opera educativa non solo della scuola ma anche delle famiglie e di tutti quegli enti che si occupavano della crescita e della formazione delle persone. Fu attiva fino all’ultimo, convinta che i giovani della scuola superiore dovessero interessarsi alla Politica, la scienza che si pone come fine il Bene Comune.  L’8 marzo del 2004, nell’aula magna dell’Istituto Vittorio Veneto di Latina gremita, Mercedes Mellacina Vallin testimoniò il suo impegno con una relazione sul ruolo della donna nella scuola dal dopoguerra. Lucida ed energica commosse tutti.
Il 27 agosto del 2008 Mercedes Mellacina Vallin si spense all’età di 97 anni, lasciando una testimonianza straordinaria di impegno e di coerenza.

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